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Autorità:-- Corte Costituzionale
Data:-- 24/10/2007 -------------- Numero: -- 348 -------------- Sede: -------------- Roma
Relatore:-- Silvestri ------------------------ -------------- Presidente: -------------- Bile
Premassima:
Illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 , convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell’art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Massima:
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Le norme CEDU, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libertà fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nellordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto.
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Le norme CEDU, in quanto norme pattizie, non rientrano dallambito di operatività dellart. 10, primo comma, Cost. La citata disposizione costituzionale, con lespressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie e dispone ladattamento automatico, rispetto alle stesse, dellordinamento giuridico italiano.
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Le norme pattizie (tra cui la CEDU), ancorché generali, contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali, esulano dalla portata normativa dell’art. 10 Cost.
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Il nuovo testo dellart. 117, primo comma, Cost, se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dallaltra attrae le stesse nella sfera di competenza della Corte Costituzionale, poiché gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale. Il giudice comune non ha, dunque, il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, poiché lasserita incompatibilità tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dellart. 117, primo comma, Cost., di esclusiva competenza del giudice delle leggi.
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Tra gli obblighi internazionali assunti dallItalia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte europea per i diritti delluomo specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione.
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Le norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, non acquistano la forza delle norme costituzionali e non sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale della Corte Costituzionale. Proprio perché si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le norme interposte e quelle costituzionali. La completa operatività delle norme interposte deve superare il vaglio della loro compatibilità con lordinamento costituzionale italiano, che non può essere modificato da fonti esterne, specie se queste non derivano da organizzazioni internazionali rispetto alle quali siano state accettate limitazioni di sovranità come quelle previste dallart. 11 della Costituzione.
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Ladeguatezza dei criteri di calcolo della indennità di espropriazione deve essere valutata nel contesto storico, istituzionale e giuridico esistente al momento del giudizio. Né il criterio del valore venale (pur rimasto in vigore dal 1983 al 1992), né alcuno dei criteri «mediati» prescelti dal legislatore possono avere i caratteri dellassolutezza e della definitività. La loro collocazione nel sistema e la loro compatibilità con i parametri costituzionali subiscono variazioni legate al decorso del tempo o al mutamento del contesto istituzionale e normativo, che non possono restare senza conseguenze nello scrutinio di costituzionalità della norma che li contiene.
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E incostituzionale lart. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359. La norma, la quale prevede unindennità oscillante, nella pratica, tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene, non supera il controllo di costituzionalità in rapporto al «ragionevole legame» con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il «serio ristoro» richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale. La suddetta indennità è inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dallimposizione fiscale, la quale si attesta su valori di circa il 20 per cento. Il legittimo sacrificio che può essere imposto in nome dellinteresse pubblico non può giungere sino alla pratica vanificazione delloggetto del diritto di proprietà.
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Si deve tuttavia riaffermare che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente lindennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato. Lart. 42 Cost. prescrive alla legge di riconoscere e garantire il diritto di proprietà, ma ne mette in risalto la «funzione sociale». Questultima deve essere posta dal legislatore e dagli interpreti in stretta relazione allart. 2 Cost., che richiede a tutti i cittadini ladempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale. Livelli troppo elevati di spesa per lespropriazione di aree edificabili destinate ad essere utilizzate per fini di pubblico interesse potrebbero pregiudicare la tutela effettiva di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (salute, istruzione, casa, tra gli altri) e potrebbero essere di freno eccessivo alla realizzazione delle infrastrutture necessarie per un più efficiente esercizio delliniziativa economica privata. Valuterà il legislatore se lequilibrio tra linteresse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà debba essere fisso e uniforme, oppure, in conformità allorientamento della Corte europea, debba essere realizzato in modo differenziato, in rapporto alla qualità dei fini di utilità pubblica perseguiti. Certamente non sono assimilabili singoli espropri per finalità limitate, a piani di esproprio volti a rendere possibili interventi programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale. Infatti, leccessivo livello della spesa per espropriazioni renderebbe impossibili o troppo onerose iniziative di questo tipo; tale effetto non deriverebbe invece da una riparazione, ancorché più consistente, per gli «espropri isolati», di cui parla la Corte di Strasburgo. Esiste la possibilità di arrivare ad un giusto mezzo, che possa rientrare in quel «margine di apprezzamento», allinterno del quale è legittimo, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che il singolo Stato si discosti dagli standard previsti in via generale dalle norme CEDU, così come interpretate dalle decisioni della stessa Corte. Ciò è conforme peraltro a quella «relatività dei valori» affermata dalla Corte costituzionale italiana. Criteri di calcolo fissi e indifferenziati rischiano di trattare allo stesso modo situazioni diverse, rispetto alle quali il bilanciamento deve essere operato dal legislatore avuto riguardo alla portata sociale delle finalità pubbliche che si vogliono perseguire, pur sempre definite e classificate dalla legge in via generale. È inoltre evidente che i criteri per la determinazione dellindennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori.
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E incostituzionale, in via consequenziale, lart. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
Testo:
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